Le sfide del 2021: dare all’Hi Tech un tocco umano.

I processi commerciali, incluso il post vendita, l’apprendimento in ogni sua forma e sede, la gestione delle persone saranno le sfide da affrontare in questo anno di cambiamenti non ancora consolidati, spiega Luciano Traquandi.
Luciano Traquandi

Luciano Traquandi  è ingegnere. Ha un’esperienza di oltre dieci anni nell’ambito industriale, presso una azienda italiana di telecomunicazioni e una multinazionale nel campo dei semiconduttori. Insegna in diverse università italiane e estere.

È docente di Comportamento Organizzativo all’EMBA del MIP, Business School del Politecnico di Milano.

Quale sarà la sfida principale (pensando al settore in cui operiamo) per il 2021?

La grande sfida è quella di non perdere l’anima. Scendo sulla terra: di fare in modo che l’accelerazione di tecnologia e di virtualità che i tempi producono e impongono non trasformi queste da servo prezioso a padrone espropriatore della nostra umanità. Lo intuì John Naisbitt (Megatrends, 1980) quando profetizzò che la crescita esponenziale di “Hi Tech” avrebbe dovuto essere necessariamente accompagnata da quella “Hi Touch”, il tocco umano. La digitalizzazione e la virtualizzazione non vanno contenute, che si espandano libere verso vette inimmaginabili. Sono però da bilanciare con questo fattore intangibile, quasi spirituale, e allora dispiegheranno la loro grande potenza al nostro servizio. Il rischio è l’autoreferenzialità dell’algoritmo e del dato in cui si esprime, il vitello d’oro odierno: “l’atrofia dei fini” causata dalla “bulimia dei mezzi” (P. Ricoeur).

Quali i mezzi per vincerla?

Esiste un vaccino e una terapia per attraversare indenni questa sfida: la cultura, con i sacrifici che richiede, essendo cosa sacra, alla mente profana che ragiona in termini di funzionalità e di utilità.
Una regola euristica è quella delle Tre I: si arriva alla cultura studiando quello che è Incompleto, che quindi ci mobilita per colmare i gap, quello che è Incoerente, che attiva  una nostra via stimolata proprio dalle contraddizioni e, soprattutto, quello che è Inutile, che esce dal mondo della produzione per entrare in quello della gratuità. In altre parole, l’invito è a praticare lo studio “autotelico”, quello che ha il fine in se stesso, per bilanciare le conoscenze necessarie ai fini produttivi.
Senza cultura non si procede, si saltella sull’unica gamba della conoscenza strumentale  e della tecnica funzionale.
Ci aiuterà forse l’utopia positiva (Ortega y Gasset): affrontando obiettivi elevati scopriremo strade nuove, anche quando i fini risulteranno irraggiungibili.   

Quali processi di business e quali funzioni organizzative sono più sotto pressione per la trasformazione in atto? 

I processi e le funzioni che saranno più riguardati dai cambiamenti in corso sono quelli in cui viene meno “il corpo”, la presenza fisica, che la prorompente digitalizzazione con il suo primogenito della virtualizzazione e l’intelligenza artificiale sono tentate di rendere superfluo. Vedere e sentire attraverso videocamere e altoparlanti non sostituisce la prossimità, anche se sono estremamente utili quando la distanza è imposta o conveniente. L’intelligenza artificiale per risolvere un problema non può sostituire chi ha bisogno di essere ascoltato nel parlare di quel problema. Un robot non ascolta. Saranno i processi commerciali, incluso il post vendita, l’apprendimento in ogni sua forma e sede, la gestione delle persone: tutti dovranno fare i conti con il delicato equilibrio HI TECH-HI TOUCH di Naisbitt.

Qual è (ovvio al di là dei dati economici) il segnale che decreterà la ripresa?

I segnali sottili, non misurabili, di non immediato impatto economico saranno i prodromi di un cambiamento decisivo, di un raggiunto o possibile nuovo equilibrio economico e sociale. E riguarderanno le nostre quotidianità più che le fantascientifiche innovazioni. Viene in mente Kevin Kostner ne “L’uomo del giorno dopo”: dopo l’Armageddon il più debole fra i rimasti si mette a consegnare la posta che forse non ha più destinatari né mittenti: di nuovo l’Utopia di Ortega y Gasset o l’atto autotelico, che si consuma nell’atto.  Nei processi più periferici e ordinari si intravedranno i prodromi della nuova alba.

Cosa sarà the next big thing nel 2021?

Ah saperla! Se fosse prevedibile non lo sarebbe. Forse ci si può preparare ad accoglierla quando si presenterà, senza il pregiudizio di bene e di male: non sarà visibile in una visione manicheistica: ci aiuterà la prassi buddhista del non attaccamento e del nonrifiuto, facendoci uscire dal dolore di quello che si perde e dal turbamento di quello che arriva.
La nuova cosa sarà più probabilmente un cambiamento di paradigma, dall’interno, più che un evento esogeno favorevole o contrario come una logica riduzionista porta a aspettarsi. Sarà una imprevista “weltanschauung” più che nuova azione. È interessante in questo scenario notare che il Politecnico di Milano, che studia e progetta le next big things scientifiche e tecnologiche, abbia lanciato attraverso la sua Business School  un percorso chiamato “Spiritualità e Management”, per non rischiare che la Grande Cosa passi e ci sfugga.


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